Aprile è il mese della consapevolezza dello stress, un momento utile per riflettere sull'impatto che questa condizione esercita sulla nostra salute. Lo stress non è solo un fenomeno mentale, ma anche una problematica fisica che colpisce il nostro corpo, con diverse conseguenze che vanno analizzate e approfondite.
Esiste sufficiente letteratura scientifica che delinea un legame tra stress e rischio cardiovascolare e abbiamo voluto approfondire questa tematica con un’intervista al Dr. Cosimo Ottomano, CLMO Chief Laboratory Medical Officer SYNLAB Italia. In questo contributo, analizziamo in particolare la funzione della “Troponina cardiaca ad alta sensibilità – stratificazione del rischio cardio-vascolare” (cTn HS - SRCV).
Grazie all’analisi di questo marcatore, i Clinici possono meglio prevedere quali soggetti in apparente stato di buona salute presentano un basso, moderato o alto rischio di futuri eventi cardiaci avversi, alla luce del contesto clinico complessivo e dei parametri generalmente usati a supporto.
Come si lega lo stress al rischio cardiovascolare e alla Troponina cardiaca?
Le origini della consapevolezza che lo stress giochi un ruolo nella patogenesi di molte malattie, e porti danno ad organi e apparati diversi sono molto antiche.
Ormoni come il Cortisolo e l’adrenalina sono noti anche ad un pubblico profano come tra i principali protagonisti dello stress.
Forse meno noto è il legame stress – infiammazione, da troppo tempo considerata un’alleata della nostra salute, ma oggi riconosciuta anche come una potenziale grande nemica (si pensi al suo ruolo giocato dai primi ceppi di SARS-CoV-2 nella drammatica pandemia di Covid-19).
Esiste sufficiente letteratura scientifica che delinea un legame tra stress e rischio cardiovascolare.
Il Journal Of The American College Of Cardiology è forse la rivista che ha dedicato più spazio a questo tema, anche alludendo all’utilizzo della Troponina cardiaca ad alta sensibilità per la stratificazione del rischio cardio-vascolare (cTn HS - SRCV) in questo specifico setting.
L'aumento della Troponina cardiaca è da molti ritenuta collegata all'infarto acuto del miocardio: è davvero così?
L’aumento della Troponina cardiaca non utilizzata per la stratificazione del rischio cardio vascolare, ma per le malattie miocardiche acute, si è affermata prevalentemente per il suo ruolo nella diagnosi e nel follow-up dell’Infarto acuto del miocardio (IMA).
In realtà oggi sappiamo bene che il suo aumento nel sangue non è patognomonico di tale malattia, bensì segnale di rottura di una quantità più o meno elevata di cellule miocardiche, dovuta anche ad altre patologie cardiache e persino a traumi toracici importanti che abbiano impattato sulla struttura del cuore.
Uno stratagemma aiuta a stabilire il legame strettissimo tra aumento della Troponina cardiaca e IMA: la presenza di una evoluzione nei minuti e nelle ore (poche) della sua concentrazione nel sangue. Se si osserva una curva a campana, nell’ordine dei giorni, della concentrazione della Troponina cardiaca, siamo ragionevolmente sicuri di essere davanti ad un IMA; la situazione clinica del Paziente poi fa il resto.
Che differenza c’è tra la misurazione della Troponina per diagnosticare l’infarto acuto e la Troponina cardiaca per la stratificazione del rischio?
All’inizio degli anni ’90 Cardiologi, e soprattutto Specialisti di Medicina di Laboratorio, erano convinti che la Troponina cardiaca non circolasse nel sangue dei soggetti sani.
Affinando i metodi per la sua misura, si comprese che anche nei soggetti sani questa molecola circolava nel torrente vascolare, ma il suo uso clinico era possibile solo quando una porzione più o meno consistente di tessuto miocardico era compromesso.
Si è arrivati finalmente ai giorni nostri in cui è possibile misurare livelli così bassi di Troponina-I, ed in modo così affidabile, da consentire un nuovo modo di utilizzarla, cioè a scopo preventivo delle malattie cardio vascolari.
In gergo tecnico, poter affermare di misurare a livelli più bassi una molecola, significa poter affermare che si è raggiunta una maggiore sensibilità analitica.
Questa maggiore sensibilità analitica consente una stratificazione del rischio cardiaco più accurata, permettendo di categorizzare i pazienti in rischio basso, moderato o elevato in modo più completo e cardio-specifico rispetto agli strumenti di valutazione del rischio cardiovascolare già disponibili.
Cosa ci restituisce il valore della Troponina cardiaca in termini di risultati per la stratificazione del rischio cardiaco?
La cTn HS - SRCV consente di classificare i soggetti che si sottopongono alla sua misura in tre categorie rispetto al rischio cardio vascolare: basso, medio e alto.
Nessuno dei soggetti così classificati sono in pericolo di vita. Infatti, dobbiamo considerare questo esame come il radar di un aereo, non come gli occhi del pilota con un eventuale ostacolo imminente.
Il rischio di cui qui parliamo si può comporre nell’ordine degli anni, non dei mesi e, men che meno, delle settimane.
Un quesito importante è a quale popolazione dedicare questo test. Sicuramente a Persone con rischi concomitanti come il diabete, gli ipertesi, chi manifesta una sindrome metabolica, ma anche a chi ha familiari morti per cause cardiovascolari.
La cTn - SRCV affianca e non sostituisce gli altri fattori di rischio che compongono gli ingredienti per il calcolo del rischio cardio vascolare di un soggetto e sono comparsi in letteratura primi esempi di algoritmi che comprendono questo marcatore, peraltro, tra tutti, il più specifico per il tessuto cardiaco.
Nei soggetti che evidenziano un rischio medio-alto, quali sono le strategie utili da intraprendere?
Dobbiamo precisare che, mentre i soggetti con i rischi già presenti, e su citati, ci sono altre persone con rischi cardio vascolari (dal 7 a 20 %?) che non iniziano difficilmente un percorso di prevenzione secondaria efficace per la valutazione di tali rischi. Sono i soggetti cui si addice alla perfezione l’allusione di essere in apparente buona salute.
Alla domanda se sia opportuno o meno sottoporli a screening per la cTn – SRCV nessuno si aspetti una risposta univoca e fiumi di inchiostro devono ancora essere consumati prima che ci sia unanimità sul tema e che questo test popoli raccomandazioni/Linee Guida stringenti.
Molto dipende dalla sensibilità degli individui e dalla capacità dei cardiologi di maneggiare questo marcatore a fini clinici.
Cosa fare in un soggetto classificato come a medio-alto rischio? Contenere con maggior attenzione ai fattori di rischio classici della malattia cardio vascolare, dalle dislipoprotidemie al diabete, dall’ipertensione alla familiarità e ultimo, ma non ultimo allo stile di vita, proprio lo stress di cui si è detto all’inizio.
A questo sarà necessario affiancare controlli clinici tanto più ravvicinati quanto più è elevata la concentrazione della cTn – SRCV, e quanto meno è l’adesione alle raccomandazioni rivolte ai singoli Pazienti
Quali sono i vantaggi per i Clinici che utilizzano questo test di laboratorio?
Questo test è oggi disponibile nel Laboratorio SYNLAB in Italia e la risposta a questa domanda aleggia in tutto quanto detto sopra: avere a disposizione un altro tassello nel puzzle del calcolo del rischio cardiovascolare di un individuo.
Attualmente gli algoritmi per detto calcolo, autorevoli se emanati da Società Scientifiche del settore, non utilizzano quasi mai la cTn – SRCV: è la nuova frontiera di questo test.
I vantaggi ad utilizzarla sono molteplici:
- individuare i Pazienti a medio-alto rischio
- suggerire a questi una terapia più o meno articolata (che passa anche per cambiamenti dello stile di vita)
- instaurare un appropriato piano di follow-up, tanto più serrato quanto più elevato è questa Troponina e i risultati delle indagini di corteo
- ultimo, ma non ultimo, utilizzare questo marcatore come termometro del cambiamento.
Alcune osservazioni, ancora prevalentemente aneddotiche, ma le evidenze sono dietro l’angolo, concordano sulla capacità della cTn – SRCV di saper tornare indietro quando tutte le contromisure terapeutiche e comportamentali di un Paziente risultino efficaci: non poco per un misurando.